Blog

Qual è l’alternativa?

Sul tema della mobilità sostenibile stiamo assistendo, anche per colpa di media e giornali, all’ennesima polarizzazione degli italiani.
Da una parte ci sono i promotori delle auto elettriche, dall’altra i nostalgici dei motori rombanti.
Come se fosse una questione di tifo calcistico o di fede religiosa.

In realtà i temi su cui confrontarci, e che cerchiamo di trattare con Ecoverso, sono importanti: dallo smaltimento delle batterie alla produzione dell’energia, dal tramonto di alcune figure professionali alla nascita di nuove opportunità lavorative.

Complottisti, youtuber e giornalisti si scatenano a chi la spara più grossa, spesso NON al fine di informare, MA di generare click (e quindi inserzioni sponsorizzate).

Personalmente adoro il confronto e ascolto con pazienza i punti di vista diversi dal mio su batterie, energia, lavoro, ecc.
I dubbi su questi temi sono più che comprensibili, anche se per ciascuno ci sono già risposte scientifiche, tecniche ed economiche.

Ma c’è una domanda che, quando la faccio, raffredda gli animi, interrompe le discussioni, fa calare il silenzio…

Qual è l’alternativa?

Noi di Ecoverso non preferiamo le auto elettriche a quelle termiche perché sono più belle, non siamo felici di dover produrre più energia per alimentarle, e non vorremmo costringere i meccanici a cambiare lavoro, ma ripeto:

Qual è l’alternativa?

 

I dati scientifici

L’IPCC (Intergovernal Panel on Climate Change) è il gruppo di scienziati incaricati dall’ONU che dal 1988 studia gli effetti delle attività umane sull’ambiente e sul clima.
Questi scienziati da decenni urlano che la situazione è grave, ma solo negli ultimi anni l’umanità ha iniziato ad ascoltarli, in parte per merito delle manifestazioni mondiali dei ragazzi dei Fridays for Future ispirati da Greta Thunberg, in parte perchè l’aumento delle temperature e la frequenza degli eventi atmosferici estremi iniziano ad essere evidenti a tutti e preoccupanti.

In estrema sintesi, dall’inizio dell’industrializzazione (1800) ad oggi la temperatura media del nostro pianeta ha iniziato ad aumentare molto, troppo velocemente, principalmente a causa dell’incremento di CO2 nell’aria.

 

Se dovessimo superare il limite di aumento della temperatura media di 1,5° C rispetto all’epoca preindustriale, le conseguenze sarebbero insostenibili: scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, siccità, desertificazioni, eventi climatici estremi troppo frequenti.

Se leggendo queste righe stai pensando “che esagerazione!” ti ricordo che anche a marzo 2020 le preoccupazioni dei virologi ci sembravano esagerate, salvo poi riscontrare nostro malgrado che avevano ragione.
Il fatto che in Italia nell’inverno 2022-23 abbiamo avuto un lunghissimo periodo di siccità mai registrato prima e che, al ritorno delle piogge, in Emilia Romagna sia scesa una quantità di acqua mai registrata prima in così poco tempo, è un campanello che dovrebbe allarmarci.

 

Gli scetticismi infondati

Uno dei motivi per cui facciamo fatica a renderci conto dell’entità del problema è la relativa lentezza del suo aggravarsi, che ci da il tempo di abituarci.
Con l’arrivo del Covid le terapie intensive negli ospedali si sono intasate nell’arco di pochi giorni, dandoci l’immediata percezione della gravità della situazione e costringendoci a correre ai ripari.
Invece il surriscaldamento globale avviene gradualmente, anno dopo anno, mentre per noi diventa “normale” che in inverno in montagna non nevichi più e che la neve si sciolga subito, o che ogni pioggia primaverile ed estiva sia accompagnata da grandine sempre più grossa e violenta.
Hai presente la storia della rana, comodamente adagiata nella pentola piena d’acqua appoggiata sul fuoco, che è morta bollita senza rendersene conto? Ecco…

Pochi scienziati ancora oggi sostengono, non avvallati dalla comunità scientifica, che il surriscaldamento globale sia un fenomeno esclusivamente naturale e ciclico, non connesso alle attività umane.
Non avendo io personalmente le competenze per valutare ed esprimermi, scelgo di ascoltare le posizioni della comunità scientifica nella sua interezza, che non si basano sull’autorevolezza del ricercatore che pubblica uno studio, ma solo sulla dimostrabilità scientifica dello studio che viene pubblicato.
Non essendo medico, in merito alle pandemie preferisco affidarmi alla comunità scientifica dei medici.
Non essendo geologo, in merito alla forma della terra preferisco affidarmi alla comunità scientifica dei geologi.
Non essendo climatologo, in merito al surriscaldamento globale preferisco affidarmi alla comunità scientifica dei climatologi.

Ma anche accettando il dubbio che la comunità scientifica si sbagli, cosa ci converrebbe pensare?
Conosci il dilemma dell’orso?
Io e te andiamo al fiume al tramonto. Tra il chiaro e lo scuro intravediamo vicino a noi una sagoma che assomiglia a quella di un orso che sta bevendo. Potrebbe essere un grosso sasso che, con le ombre, sembra un orso. Oppure potrebbe essere davvero un orso potenzialmente pericoloso.
Cosa ci conviene pensare e di conseguenza fare?
Meglio pensare che sia un sasso e avvicinarci comunque, oppure essere prudenti e allontanarci?
Nel dubbio, qualora ne avessimo, ci conviene pensare che la comunità scientifica si sbagli e tirare dritti sui nostri bei SUV diesel, oppure correre ai ripari onde evitare che poi sia troppo tardi?

 

Le principali cause umane

E’ certamente vero che la CO2 non viene emessa solo dalle auto, ed è altrettanto vero che non viene emessa solo in Italia e in Europa.

Tutte le ricerche scientifiche, seppur con numeri leggermente diversi (dovuti alla complessità delle variabili da analizzare), individuano quattro principali attività umane che stanno alla base del vertiginoso aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera:

 

  • produzione di energia (per l’elettricità e il riscaldamento);
  • attività industriali;
  • trasporti (di cui solo una piccola percentuale, a differenza di quanto immaginiamo, dipende dagli aerei e dalle navi);
  • produzioni alimentari (principalmente legate agli allevamenti intensivi e ai disboscamenti).

 

L’obiettivo, ambizioso ma importante, è di arrivare ad emettere zero CO2 (o compensarla) in questi quattro ambiti principali entro il 2050.
Noi come Ecoverso abbiamo scelto la causa per la quale batterci: i trasporti.
Questo ovviamente comporta anche il passaggio alla mobilità elettrica, alimentata da energie 100% rinnovabili.

Non deve avvenire solo in Italia e in Europa, ma in tutto il mondo.
Certo è che, se nessuno inizia a dare il buon esempio, non ci arriveremo mai.
E, per come la vedo io, sono i paesi più sviluppati a dover mostrare la via a quelli in via di sviluppo.
Anche se sul piano dei trasporti, a differenza di quanto immaginiamo, Cina e India sono più avanti di noi nell’elettrificazione dei propri veicoli (per ragioni commerciali oltre che ambientali – infatti in passato i mezzi a combustione li hanno sempre importati, mentre ora quelli elettrici li producono internamente).

“Ma è impossibile convincere tutto il mondo a cambiare!”
Ancora una volta: qual è l’alternativa?

 

Le questioni economiche

Se stai pensando che la resistenza al cambiamento sia di natura economica, non stai considerando le conseguenze economiche e sociali dell’innalzamento della temperatura media terrestre oltre 1,5° C.
Limitiamoci a fare qualche esempio che ci riguarda da vicino.

Buona parte d’Italia vive di turismo balneare. Se le temperature terrestri aumentassero, i ghiacciai si sciogliessero e le spiagge scomparissero, che fine farebbe questa enorme fetta del PIL italiano?

Se le temperature terrestri aumentassero, in molti territori africani (e del sud Italia) diventerebbe letteralmente impossibile sopravvivere a causa del caldo e della siccità. Se già oggi fatichiamo a gestire i flussi migratori dall’Africa all’Europa, come potremmo gestirli se diventassero 10 o 100 volte superiori?

Ricordi le grandinate con chicchi grandi come palline da tennis che negli ultimi anni hanno colpito varie zone d’Italia, distruggendo le auto e i tetti delle case? Se capitassero periodicamente ogni anno, le famiglie e le aziende come potrebbero far fronte alle spese di riparazione? Le assicurazioni raggiungerebbero prezzi che le farebbero diventare dei beni di lusso riservati a pochi.

L’elenco degli esempi potrebbe essere molto lungo e dovrebbe farci riflettere sul fatto che attuare oggi le soluzioni per rallentare il surriscaldamento globale ha certamente un importante costo economico e sociale, ma non farlo avrà costi economici e sociali ben peggiori nei prossimi anni (anni, non decenni o secoli).

 

Cambiare non vuol dire peggiorare, anzi!

Aggiungo che andare verso stili di vita meno inquinanti non significa necessariamente “peggiorare” o “regredire”.
Nei paesi nord europei da anni ormai è in atto una vera e propria rivoluzione nella mobilità:

  • sempre più città chiudono definitivamente l’accesso a qualsiasi tipo di auto;
  • moltissimi cittadini usano le biciclette non solo per piacere, ma come mezzo di trasporto quotidiano (nonostante il clima a quelle latitudini sia meno “incoraggiante” del nostro);
  • le auto, quelle che servono, sono sempre più elettriche.

Il risultato di questi cambiamenti è che dai sondaggi la qualità della vita non peggiora ma migliora!

Nazioni come la Danimarca, l’Olanda e la Germania ci stanno mostrando una possibilità non solo necessaria, ma anche piacevole per pesare meno su questo pianeta e, ci auguriamo per noi stessi e per i nostri figli, salvarci dai disastri annunciati a gran voce dagli scienziati dell’IPCC.

 

Non dobbiamo aspettare che lo facciano le nazioni, i politici, gli altri.
Possiamo iniziare da noi stessi, io e te, dalle nostre scelte quotidiane. E influenzare col col nostro esempio chi ci sta intorno.

Miglioriamo il mondo, un’auto alla volta.

  • Condividi l'articolo:
1 Commenti
Aggiungi un commento
Avatar for andrea p.
andrea p.

Interessantissimo articolo, pieno di spunti. Ritengo che un punto su cui lavorare a stretto giro nei confronti dei cosiddetti “scettici” sia proprio il costo che questa inerzia e pigrizia culturale avranno nel breve e medio termine: i danni conseguenti ad eventi calamitosi, al deperimento del nostro patrimonio paesistico, alla costante perdita di credibilità nei confronti della Comunità Europea, … comporteranno costi elevatissimi, sanzioni a livello europeo che finiranno con il danneggiarci tutti, fino a farci diventare dipendenti da altre economie. Probabilmente, condividere e diffondere questo messaggio può aiutare a vincere la ritrosia di molti!

Rispondi
20 marzo 2024 - 20:15
Commenta